Quanto è giusto o necessario “dare spiegazioni”?
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- Nathan
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Quanto è giusto o necessario “dare spiegazioni”?
Sono molto felice che esistano posti come il Milk dove ci si rivolge con perifrasi neutre a una persona di aspetto ambiguo (o di aspetto conforme al sesso, ma incontrata in un evento a tema identità di genere) finché la persona non si qualifichi con un nome maschile o femminile o quantomeno non dichiari il suo genere d’elezione (o dichiari che preferisce che si continui ad usare le perifrasi neutre).
Ho avuto la sfortuna di alternare a questi ambienti protetti, costruiti a fatica, un ambiente lavorativo fatto di persone non scelte attaccate al più bieco binarismo.
Non so quanto questo mi abbia fatto male. Forse sul piano emotivo si, ma mi ha reso un attivista migliore.
Di certo posso scegliere di passare il mio tempo libero con eterosessuali illuminati, che il mio genere lo hanno rispettato da subito, o dopo le dovute spiegazioni, ma rimane sempre una parte di vita in cui, a causa del vuoto normativo riguardante la mia condizione di uomo transgender non medicalizzato, dovrò osservare il mondo come se fossi nascosto dentro il corpo di un’improbabile donna etero “gender not conforming“, circondata da persone che, in assenza (o a volte drammaticamente in presenza) di persone LGBT, si lanciano con inquietante naturalezza ai più beceri comportamenti omotransfobici e sessisti, nonché a stereotipi che in ambiente protetto abbiamo superato da decenni, ma che per il resto del mondo sono rimasti “ovvi”.
A volte mi ritrovo, mio malgrado, a serate interminabili con anziane lesbiche brizzolate che tentano di coinvolgere nella stesura di non so quale comunicato stampa in cui verranno contate e soppesate le parole. Per loro è così ovvio che presidentessa, dottoressa, professoressa, sono “offensivi“, perché una ricerca di studi di genere di cui non sono stato partecipe ha decretato, o scoperto, che il suffisso -essa è denigratorio e quindi deprecated. Ma so che fuori da quel tavolo di femministe diplomate sul tema, il femminile di queste professioni continuerà a contenere -essa, se non magari per qualche sindaca, assessora, avvocata del pd o di qualche partito progressista delle sinistre.
Ma non riesco davvero a capire perchè diventino sgomente quando il resto del mondo è rimasto all’oscuro riguardo alle loro conclusioni, e, senza nessuna malafede, continua ad usare principessa, presidentessa e avvocatessa.
Lo stesso succede quando al Milk arriva un nuovo socio, che tutti noi ci chiediamo come sia arrivato a noi, associazione dichiaratamente antibinaria e TBGL (ma le vie del Mostro di Spaghetti Volante sono infinite), perché prima di oggi non ha mai visto una persona trans e una persona bisessuale.
Egli ha di fronte tre persone. Me, una butch e una persona genderfluid nata F. Si rivolge a tutti e tre al femminile, perchè prima del Milk era in associazioni gay dove era già strano vedere una donna, dove i bisessuali erano cattivi cattivi e le persone trans erano considerate come gay con parrucca.
E’ sconvolto nel vedere che io mi qualifico con un nome maschile (certo avrei potuto evitare Nathan…avevo sottovalutato l’ignoranza che porta a pensare che un nome biblico ebreo sia un nome maschile…avrei potuto o dovuto scegliere Astolfo) e ci mette un po’ a capire che a me deve rivolgersi al maschile. Oltre a non sapere dell’esistenza dei “non medicalizzati” o quanto meno di “ftm pre T“, non sa proprio neanche dell’esistenza degli ftm, e non sa nemmeno che esistono donne trans lesbiche come le mie amiche, che quindi “non transizionano per sedurre uomini etero”.
La sua ignoranza può lasciarci agghiacciati, ma spetta decidere se lasciarlo in tale ignoranza o spiegargli le cose.
E, lo so, è faticoso farlo, dopo anni che pensi di aver già spiegato abbastanza, quando finalmente vuoi farti i cazzi tuoi.
Ma io ho scelto di essere attivista, e mi tocca farlo per altri. Quando mi stancherò di farlo, e credo succederà presto, mi ritirerò dall’attivismo o cercherò nuove vie di attivismo.
Abbiamo la fortuna di essere un gruppo. Io posso spiegare per un altro, in modo che venga tolto dall’imbarazzo di doversi sempre raccontare e spiegare per se stesso.
E’ un po’ come quando il mio ex mi portava a cene vegane, a meditazioni buddhiste, o in altri posti che prima di me non avevano mai visto un ftm e, solo nel caso io non fossi passato, aspettava che io andassi in bagno per spiegare a tutti che dovevano rivolgersi a me al maschile.
E quando tornavo io sapevo che era tutto “finto“, ma ero così rassicurato dal non essere “violentato” da quel femminile dato probabilmente in buona fede da chi dava per scontato che ormai le ragazze possono essere anche maschiaccio e , sentendo una voce non profonda e vedendo un viso senza barba, mi ha scambiato per una delle tante “maschiacci0″.
Ci sono diversi tipi di persone quando c’è di mezzo una persona trans che passa poco o di cui si conosce per vie traverse la condizione trans.
C’è chi si rivolge ad essa tramite il genere d’elezione perché riesce a vederlo. C’è chi invece non riesce a vedere altro se non il sesso biologico, ma usa il genere corretto per educazione, perché ha capito (gli è stato spiegato?) che cos’è la disforia di genere e quanto dolore dà (esempio: “rivolgiti a lui al maschile“, “ma io la vedo donna“, “ok, allora fallo quantomeno per educazione“), e poi c’è chi, semplicemente, è stronzo, e continua a coniugare il genere al sesso biologico, per ignoranza, per mancanza di empatia, perché ha una ferita scoperta, perché è bigotto…
Alcune persone trans dicono di essere tolleranti anche verso “gli stronzi“, ma io non sono d’accordo.
Che si debba spiegare, magari trovando qualcuno che lo faccia per noi, penso sia dovuto (il mondo non funziona come in un salotto di anziane veterane femministe che contano le parole), ma io di possibilità ne dò una. Perseverare, come dice un vecchio detto, è diabolico.
E’ chiaro che però queste riflessioni riguardino la società, e non poi gli affetti di cui vogliamo circondarci nella vita privata. Io ad esempio vorrei solo persone della prima categoria, che il mio genere lo “vedono” aldilà del sesso, e scarterei anche quelle che il genere corretto me lo rivolgono per educazione, perché nella sfera dei miei affetti è meglio che non entrino, ma tutto questo poi varia da persona a persona, ed è possibile che altri non siano tanto rigidi a riguardo.
LINK https://progettogenderqueer.wordpress.c ... iegazioni/" onclick="window.open(this.href);return false;
Ho avuto la sfortuna di alternare a questi ambienti protetti, costruiti a fatica, un ambiente lavorativo fatto di persone non scelte attaccate al più bieco binarismo.
Non so quanto questo mi abbia fatto male. Forse sul piano emotivo si, ma mi ha reso un attivista migliore.
Di certo posso scegliere di passare il mio tempo libero con eterosessuali illuminati, che il mio genere lo hanno rispettato da subito, o dopo le dovute spiegazioni, ma rimane sempre una parte di vita in cui, a causa del vuoto normativo riguardante la mia condizione di uomo transgender non medicalizzato, dovrò osservare il mondo come se fossi nascosto dentro il corpo di un’improbabile donna etero “gender not conforming“, circondata da persone che, in assenza (o a volte drammaticamente in presenza) di persone LGBT, si lanciano con inquietante naturalezza ai più beceri comportamenti omotransfobici e sessisti, nonché a stereotipi che in ambiente protetto abbiamo superato da decenni, ma che per il resto del mondo sono rimasti “ovvi”.
A volte mi ritrovo, mio malgrado, a serate interminabili con anziane lesbiche brizzolate che tentano di coinvolgere nella stesura di non so quale comunicato stampa in cui verranno contate e soppesate le parole. Per loro è così ovvio che presidentessa, dottoressa, professoressa, sono “offensivi“, perché una ricerca di studi di genere di cui non sono stato partecipe ha decretato, o scoperto, che il suffisso -essa è denigratorio e quindi deprecated. Ma so che fuori da quel tavolo di femministe diplomate sul tema, il femminile di queste professioni continuerà a contenere -essa, se non magari per qualche sindaca, assessora, avvocata del pd o di qualche partito progressista delle sinistre.
Ma non riesco davvero a capire perchè diventino sgomente quando il resto del mondo è rimasto all’oscuro riguardo alle loro conclusioni, e, senza nessuna malafede, continua ad usare principessa, presidentessa e avvocatessa.
Lo stesso succede quando al Milk arriva un nuovo socio, che tutti noi ci chiediamo come sia arrivato a noi, associazione dichiaratamente antibinaria e TBGL (ma le vie del Mostro di Spaghetti Volante sono infinite), perché prima di oggi non ha mai visto una persona trans e una persona bisessuale.
Egli ha di fronte tre persone. Me, una butch e una persona genderfluid nata F. Si rivolge a tutti e tre al femminile, perchè prima del Milk era in associazioni gay dove era già strano vedere una donna, dove i bisessuali erano cattivi cattivi e le persone trans erano considerate come gay con parrucca.
E’ sconvolto nel vedere che io mi qualifico con un nome maschile (certo avrei potuto evitare Nathan…avevo sottovalutato l’ignoranza che porta a pensare che un nome biblico ebreo sia un nome maschile…avrei potuto o dovuto scegliere Astolfo) e ci mette un po’ a capire che a me deve rivolgersi al maschile. Oltre a non sapere dell’esistenza dei “non medicalizzati” o quanto meno di “ftm pre T“, non sa proprio neanche dell’esistenza degli ftm, e non sa nemmeno che esistono donne trans lesbiche come le mie amiche, che quindi “non transizionano per sedurre uomini etero”.
La sua ignoranza può lasciarci agghiacciati, ma spetta decidere se lasciarlo in tale ignoranza o spiegargli le cose.
E, lo so, è faticoso farlo, dopo anni che pensi di aver già spiegato abbastanza, quando finalmente vuoi farti i cazzi tuoi.
Ma io ho scelto di essere attivista, e mi tocca farlo per altri. Quando mi stancherò di farlo, e credo succederà presto, mi ritirerò dall’attivismo o cercherò nuove vie di attivismo.
Abbiamo la fortuna di essere un gruppo. Io posso spiegare per un altro, in modo che venga tolto dall’imbarazzo di doversi sempre raccontare e spiegare per se stesso.
E’ un po’ come quando il mio ex mi portava a cene vegane, a meditazioni buddhiste, o in altri posti che prima di me non avevano mai visto un ftm e, solo nel caso io non fossi passato, aspettava che io andassi in bagno per spiegare a tutti che dovevano rivolgersi a me al maschile.
E quando tornavo io sapevo che era tutto “finto“, ma ero così rassicurato dal non essere “violentato” da quel femminile dato probabilmente in buona fede da chi dava per scontato che ormai le ragazze possono essere anche maschiaccio e , sentendo una voce non profonda e vedendo un viso senza barba, mi ha scambiato per una delle tante “maschiacci0″.
Ci sono diversi tipi di persone quando c’è di mezzo una persona trans che passa poco o di cui si conosce per vie traverse la condizione trans.
C’è chi si rivolge ad essa tramite il genere d’elezione perché riesce a vederlo. C’è chi invece non riesce a vedere altro se non il sesso biologico, ma usa il genere corretto per educazione, perché ha capito (gli è stato spiegato?) che cos’è la disforia di genere e quanto dolore dà (esempio: “rivolgiti a lui al maschile“, “ma io la vedo donna“, “ok, allora fallo quantomeno per educazione“), e poi c’è chi, semplicemente, è stronzo, e continua a coniugare il genere al sesso biologico, per ignoranza, per mancanza di empatia, perché ha una ferita scoperta, perché è bigotto…
Alcune persone trans dicono di essere tolleranti anche verso “gli stronzi“, ma io non sono d’accordo.
Che si debba spiegare, magari trovando qualcuno che lo faccia per noi, penso sia dovuto (il mondo non funziona come in un salotto di anziane veterane femministe che contano le parole), ma io di possibilità ne dò una. Perseverare, come dice un vecchio detto, è diabolico.
E’ chiaro che però queste riflessioni riguardino la società, e non poi gli affetti di cui vogliamo circondarci nella vita privata. Io ad esempio vorrei solo persone della prima categoria, che il mio genere lo “vedono” aldilà del sesso, e scarterei anche quelle che il genere corretto me lo rivolgono per educazione, perché nella sfera dei miei affetti è meglio che non entrino, ma tutto questo poi varia da persona a persona, ed è possibile che altri non siano tanto rigidi a riguardo.
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- LauraB
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Re: Quanto è giusto o necessario “dare spiegazioni”?
ho appena letto da una rivista femminile (elle, se non sbaglio. o forse glamour) un articolo in cui senza problemi si usa il termine avvocatessa, per cui pare che dipenda anche dalla sensibilità delle persone. Il termine principessa è talmente radicato da non poter essere declinato in altro modo.
in quanto alle persone che ci circondano, i colleghi soprattutto, non essendo possibile sceglierli, ci tocca sopportarli, e per la nostra sensibilità e peculiarità è un bel sopportare. ovvio che a fine giornata spesso non se ne puo più..
E che quindi ne risente pure il nostro umore.
riguardo all attivismo, che sia associativo lgbt o partitico o altro, quanto più è alto e nobile la causa, tanto più sarà una rosa con spine.
in quanto alle persone che ci circondano, i colleghi soprattutto, non essendo possibile sceglierli, ci tocca sopportarli, e per la nostra sensibilità e peculiarità è un bel sopportare. ovvio che a fine giornata spesso non se ne puo più..
E che quindi ne risente pure il nostro umore.
riguardo all attivismo, che sia associativo lgbt o partitico o altro, quanto più è alto e nobile la causa, tanto più sarà una rosa con spine.
Laura Bianchi
- Nathan
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Re: Quanto è giusto o necessario “dare spiegazioni”?
io credo che "-essa" dia fastidio perchè un tempo la principessa non operava, era solo la moglie del principe
lo stesso l'avvocatessa, l'ambasciatrice, etc etc
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Re: Quanto è giusto o necessario “dare spiegazioni”?
principessa è il titolo che ha la moglie del principe, ma anche la figlia del re, e anche loro operavano (Elisabetta I e II ad esempio) se la linea dinastica concedeva alle donne il diritto a regnare.Nathan ha scritto:io credo che "-essa" dia fastidio perchè un tempo la principessa non operava, era solo la moglie del principe
Faccio fatica a credere che -essa in principessa possa dare fastidio, anche perché non vedo un termine alternativo (principa?.. bahh). Certamente il suffisso -essa fa capire che discende comunque da un termine maschile.
Penso che il termine sia più legato invece alle fiabe, al pensiero/sogno delle principesse ben delineate da Disney, sogno che quasi tutte le bambine hanno ( o gli fanno avere, prima che crescano) come i bambini hanno zorro e i cowboy. Sogno che anche da adulti (almeno anagraficamente) ci si porta dietro ( e dentro). E proprio per questo il termine principessa non lo vedo in senso di fastidio, ma come termine positivo.
Che poi anche le principesse cambino al cambiare dei tempi ben venga, penso a Ribelle/The brave (sempre Disney) ma ce ne sono altre.
Cosi come cambiano i tempi, e la lingua, che è viva, e si evolve e si adatta sia alle mode del tempo sia a cambiamenti più duraturi, come il fatto appunto che le donne oggi lavorano e non sono più l'angelo( angiolessa? ) del focolare. Alla fine sarà il tempo a trovare una forma corretta per la figura professionale femminile.
Laura Bianchi
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Re: Quanto è giusto o necessario “dare spiegazioni”?
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Chissà come si chiamerà la moglie di Jeeg Robot. Jeeggessa? Blaah!
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Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.
info@xdress.it
Non discutere mai con un idiota... Ti trascina al suo livello e ti batte con l'esperienza!
Voi ridete di me perchè mi vedete diversa...io rido di voi perchè siete tutti uguali!!!
Chi "approfondisce", tra un maccherone e un'insalata, è un diverso e un rompicoglioni che non sa stare a tavola.
Esistono 10 tipi di persone: quelle che capiscono il codice binario e quelle che non lo capiscono!
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Re: Quanto è giusto o necessario “dare spiegazioni”?
se vai in qualsiasi posto di elaborazione culturale femminile e usi "presidentessa" di bacchettanoLauraB ha scritto:principessa è il titolo che ha la moglie del principe, ma anche la figlia del re, e anche loro operavano (Elisabetta I e II ad esempio) se la linea dinastica concedeva alle donne il diritto a regnare.Nathan ha scritto:io credo che "-essa" dia fastidio perchè un tempo la principessa non operava, era solo la moglie del principe
Faccio fatica a credere che -essa in principessa possa dare fastidio, anche perché non vedo un termine alternativo (principa?.. bahh). Certamente il suffisso -essa fa capire che discende comunque da un termine maschile.
Penso che il termine sia più legato invece alle fiabe, al pensiero/sogno delle principesse ben delineate da Disney, sogno che quasi tutte le bambine hanno ( o gli fanno avere, prima che crescano) come i bambini hanno zorro e i cowboy. Sogno che anche da adulti (almeno anagraficamente) ci si porta dietro ( e dentro). E proprio per questo il termine principessa non lo vedo in senso di fastidio, ma come termine positivo.
Che poi anche le principesse cambino al cambiare dei tempi ben venga, penso a Ribelle/The brave (sempre Disney) ma ce ne sono altre.
Cosi come cambiano i tempi, e la lingua, che è viva, e si evolve e si adatta sia alle mode del tempo sia a cambiamenti più duraturi, come il fatto appunto che le donne oggi lavorano e non sono più l'angelo( angiolessa? ) del focolare. Alla fine sarà il tempo a trovare una forma corretta per la figura professionale femminile.
provare per credere
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Re: Quanto è giusto o necessario “dare spiegazioni”?
a parte che non devo spiegarlo "io" a qualcuno.
ma la boldrini mica è dio
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Re: Quanto è giusto o necessario “dare spiegazioni”?
A parte che c'era dell'ironia, ovvio che non devi spiegarlo tu, ma visto che certa stampa (ormai quasi tutta piegata al regime) e l'intellighentia la tengono così in palmo di mano...
Per chi non se lo ricordasse è la "signora" che ha fatto buttare via e ristampare tutta la carta da lettera facendo scrivere Presidentessa della Camera anzichè Presidente.
Per chi non se lo ricordasse è la "signora" che ha fatto buttare via e ristampare tutta la carta da lettera facendo scrivere Presidentessa della Camera anzichè Presidente.
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Re: Quanto è giusto o necessario “dare spiegazioni”?
Avevo messo da parte un articolo in cui si affrontava la questione, se lo ritrovo lo pubblico.
La lingua italiana non è immutabile, è in evoluzione in base alla storia che va avanti. E nella storia che va avanti nel frattempo anche le donne hanno iniziato ad essere presenti in quasi tutti i posti di lavoro.
E quindi ora si pone anche il problema sul come appellarsi: riferendosi alla persona o al lavoro?
Si diceva: maestra esiste infermiera pure, perché non ministra allora.
Le conclusioni a cui arrivava l articolo non erano proprio quelle che io pensavo, ci sono anche sensibilità e mode che vanno prese in considerazione.
Nel Regno Unito a ogni cambio di regnante puo cambiare l' inno nazionale (God save the Queen/king).
A proposito, mi si è guastato il frigorifero, domani chiamo un elettricisto.
Chissa chi mi arriva a casa...
La lingua italiana non è immutabile, è in evoluzione in base alla storia che va avanti. E nella storia che va avanti nel frattempo anche le donne hanno iniziato ad essere presenti in quasi tutti i posti di lavoro.
E quindi ora si pone anche il problema sul come appellarsi: riferendosi alla persona o al lavoro?
Si diceva: maestra esiste infermiera pure, perché non ministra allora.
Le conclusioni a cui arrivava l articolo non erano proprio quelle che io pensavo, ci sono anche sensibilità e mode che vanno prese in considerazione.
Nel Regno Unito a ogni cambio di regnante puo cambiare l' inno nazionale (God save the Queen/king).
A proposito, mi si è guastato il frigorifero, domani chiamo un elettricisto.
Chissa chi mi arriva a casa...
Laura Bianchi