il mio coming out (terza parte)

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marinamtf
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il mio coming out (terza parte)

Messaggio da marinamtf »

Avviso per voi di xdress: questa parte sarà pesante ma è
il preludio alla quarta (e ultima) parte, ancora più pesante. Ma
è andata così; o mentire, o tacere o raccontare la verità... ho
scelto la terza.


terza parte.
------------

Questa terza parte non è stata semplice da scrivere.
Forse per te non sarà semplice leggerla. L'unico modo per
spiegarti il mio gesto è quello di condurti in posti non facili e
tirar fuori cose di me molto profonde.

Se nelle prime due parti potevo lasciarmi trasportare un
po' dall'ispirazione ora la scrittura deve farsi più densa e
precisa; andremo in posti della psiche dove è facile perdersi e
le scorciatoie significano, spesse volte, dolore, illusioni,
nebbie, ritardi. Seguimi e non deviare dal cammino.

Andremo nel luogo dove urlano gli agnelli, e sarà
difficile, imbarazzante, scomodo: non sarà un viaggio di una sola
volta ma lo dovremo percorrere tutto; tutto ciò che ti posso dire
è che è solo grazie a questo viaggio che ne sono uscita viva e il
raccontarlo a te, ora, a distanza di nove anni, serve come
memento nel caso, improbabile, che volessi "cambiare idea" e
tornare Lino. Certo, ci sono le persone che detransizionano,
eccome, persone che si pentono di qualunque cosa, che prima
giuravano di essere donna e adesso vorrebbero far causa ai
chirurghi "macellai". Che dire? Il mondo è vario, ma la mia
impressione è che chi detransiziona non è andato prima nella
stanza più in basso a sentire gli agnelli urlare. Non è andato a
fondo della ragione del sentirsi donna (che per ciascuna trans
può essere diversa, ma mai è "semplice" se non per le poche
fortunate che lo sanno dal principio). Se li senti, non torni più
indietro.

Dunque, apparentemente il campeggio lupetti-coccinelle
Arzeno 1990 (l/c) fu un normalissimo evento nella vita di uno
scout di 17 anni come io ero all'epoca. Dovevo fare il
"cambusiere"; questo significa che, insieme a Laura, una mia
amica coetanea, dovevo far la spesa quotidiana al locale paese
(circa 2 km a piedi avanti e indietro) (pane, frutta, verdura,
raramente carne, il menù era stabilito in anticipo, come pure le
quantità e anche tutto era già pagato, dovevo andare solo al
negozio e ritirare il sacco del giorno), poi dovevamo far da
mangiare per circa 40 bambini fra 8 e 12 anni, maschi e femmine,
"lupetti" e "coccinelle" e una decina di capi, più noi .
Colazione, pranzo, tè e pane e nutella per merenda, cena.

I ragazzi dormivano mescolati, maschi e femmine, in una
stanzona, ti ricordi? Era una scuola abbandonata, ti ci portai...
Noi capi e "cambu", in quella a fianco, dove si tenevano anche i
fornelli, le bombole, pentole e le riserve di Nutella, salame e
biscotti. I bambini erano tenuti ad aiutare, a turno, me e Laura
a lavare i pentoloni. Tutto questo lo sai, più o meno.

Immagino che tu ricordi la storia così come te la
raccontai all'epoca: le coccinelle più grandi, dodicenni, si
affezionarono a Lino che si vide circondato da queste ragazzine,
"prese una cotta" per una di esse e il capo, saputolo, lo cacciò
dal campeggio. Questa, a grandi linee, era la vulgata che
raccontavo in giro, il motivo per il quale poi uscii dallo
scoutismo a ottobre dell'anno dopo, ma nascondeva in realtà molto
e sarà mio compito adesso riempire i buchi; ma questi "buchi" in
realtà sono qualcosa di molto profondo che non raccontai mai a
nessuno. Preparati alla discesa.

Intanto diamo un nome a queste ragazzine. Le "coccinelle"
più grandi (tre di dodici anni: Silvia, Elisa, Francesca e tre di
undici, Claudia, Sonia e Martina) si affezionarono a me in varia
forma: le piccole per compagno di giochi: portarle a cavalluccio,
cantare canzoni, raccontare storie, raccogliere le loro piccole
confidenze, le grandi, specialmente Elisa, forse per una sorta di
cotta per il mio modo di fare molto dolce (del resto io, a 17
anni, avevo la stessa esperienza in amore di loro di 12, ossia
zero, se non contiamo i baci di Padre Emilio). Elisa mi stava
vicina in modo tenero, era già molto sviluppata per la sua età e
ne dimostrava forse quattordici; un viso da "madonna", bionda
occhi azzurri, mi aveva dato la sua promessa, il suo swatch, mi
sentiva suonare la chitarra in silenzio religioso e mi sorrideva
al fuoco della sera, Silvia era timida, mi chiedeva sempre di
suonare la Guerra di Piero e ascoltava sognante, Francesca stava
in silenzio, mi chiedeva sempre del pane dalla cambusa, cantava
"che sarà", riservata, ma non per questo meno interessata, forse
la più maschiaccio delle tre, ma sempre carina. Con loro tre
passavo praticamente tutto il tempo libero dopo pranzo.

Io ero andata là come Lino, ovvio, e, per la prima volta
nella mia vita, sembrava che questo ruolo "funzionasse"! Per
dieci giorni vissi in una specie di paradiso come quello dei
musulmani, attorniato dalle vergini promesse, mai solo, sempre
cercato, dalla colazione alla sera al fuoco; ma... ma non era la
vita reale. Era un campeggio: queste bambine erano senza
genitori, magari senza freni si lasciavano andare in
dimostrazioni di affetto e magari mi vedevano come una sorta di
fratello maggiore o qualcosa del genere. Solo per Elisa, pensavo,
questo sentimento forse, almeno così sembrava, non era "solo"
amichevole, ma nascondeva un innamoramento, forse, in bocciolo,
forse neppure una cotta, qualcosa che sta prima della cotta ma
non è amicizia... inutile dire che non accadde nulla di fisico
tra me e lei, solo sguardi, sorrisi da un capo all'altro del
tavolo, occhiolini, pettegolezzi degli altri lupetti che ci
vedevano assieme, gomitate quando io prendevo la chitarra e mi
mettevo a fianco a loro, e magari Elisa mi ascoltava tenendomi
una mano sulla spalla, o sdraiata sull'erba appoggiando la testa
sulla mia coscia... ma c'era anche, drammatico, il sentimento di
fine, del conto alla rovescia che inesorabilmente mi ricordava
che questo idillio non sarebbe durato, che la domenica 22
sarebbero venuti i genitori a riprendersele.

Non sapendo cosa fare... usai ciò che sapevo fare, la
scrittura. Scrissi una lettera ad Elisa ma, per non spaventarla
(perché dopotutto non sapevo se effettivamente lei avesse una
cotta per me o meno), la scrissi anche a Francesca e Silvia.
Lettere assolutamente amichevoli, te lo assicuro, anche quella di
Elisa conteneva solo un generico ringraziamento per i giorni
insieme e la speranza di poterci rivedere a settembre a Genova
agli scout, non di certo le chiedevo di essere la mia ragazza
(magari tra le righe... ma non in modo esplicito)!

Le diedi il sabato sera, l'ultimo fuoco. I lupetti e le
cocci dell'ultimo anno erano autorizzati a portare il sacco a
pelo sul prato e dormire attorno alle braci del fuoco, uno dei
capi avrebbe dormito con loro, a turno. Elisa la prese ma non
dimostrò molto interesse, anzi, sembrò all'inizio sorpresa ma in
senso cattivo, forse perché aveva visto che non era la sola
destinataria (gelosa?), mentre l'effetto più forte lo ebbi,
inaspettatamente, con Silvia, la timida, colei dalla quale mai mi
sarei mai aspettata nulla. Si mise a piangere. Mi abbracciò e mi
strinse forte, non me l'aspettavo. Vedendo che stava succedendo
qualcosa di "strano" le più piccole vennero e, saputo che c'erano
delle lettere, cominciarono a saltare e a dire anche io la voglio
la lettera, anche io: Sonia, Martina, Claudia, Milena... tutte
attorno a me a chiedermi lettere, ricordi, un pezzo di
fazzoletto, un pegno qualunque, una "reliquia" per ricordo,
improvvisamente anche a loro era venuto in mente che il giorno
dopo ci saremmo salutati ed era calata la tristezza dell'addio.

Promisi che durante la notte avrei scritto tutte le
lettere mancanti e che il giorno dopo le avrei date. E così mi
accinsi a fare ritornata nella stanza dei capi sennonché una cosa
del genere non era passata inosservata neppure ai capi delle
cocci che mi chiesero spiegazioni. Io con la mia aria più
innocente dissi che stavo scrivendo delle letterine di addio alle
cocci che me l'avevano chiesto; il capo volle vederne una, era
quella per Milena. Mi disse "Tu questa non la dai". Non capivo,
non c'era _assolutamente_ nulla che potesse lontanamente essere
pensato come erotico o neppure amoroso, erano tutte lettere in
tono amichevole in cui ringraziavo dei bellissimi giorni insieme
e auguravo loro un buon cammino nello scoutismo e nella vita.

Io quando non capisco difficilmente obbedisco; anche
perché il giorno dopo le cocci non si erano mica dimenticate
della promessa, appena mi videro per la colazione mi diedero le
_loro_ lettere (specialmente le più piccole avevano scritto
qualche pensierino tenero da ragazzina, sai con tanti cuoricini,
le frasi copiate forse da cioè o sentite dire) e vollero le mie.
Io, incurante del divieto, o, meglio, per non deluderle, gliele
diedi lo stesso.

Ecco, tu sai il finale: il capo cocci se ne accorse, mi
prese in disparte, mi fece un discorso molto semplice: "tu mi hai
disubbidito e devi andartene. C'è una corriera che parte dalla
piazza del paese a mezzogiorno, te ne torni a Chiavari e poi ti
prendi un treno per Genova. La tua avventura finisce qui". E così
fu... ma prima, purtroppo, quando Silvia e Francesca seppero che
ero stata cacciata divennero due fontane e vedevano che preparavo
lo zaino piangendo disperate: Elisa no, curioso, ma soprattutto
Silvia era commossa a un livello che non pensavo. Si sfilò il suo
braccialetto di cuoio con scritto Silvia e me lo diede, mi
scrisse il suo indirizzo di casa su un foglietto e mi pregò di
scriverle ancora.

Per molto, molto tempo, l'immagine di Silvia piangente,
che piangeva per _me_, mi perseguitò come... ma non anticipo.

Molte altre cocci strapparono quaderni per darmi i loro
indirizzi e copiare il mio, e, però, alla fine, dovetti partire.
Andai alla corriera piena di oggettini e foglietti, le cocci
volevano che questa cosa continuasse, e, per alcune di loro, in
effetti continuò in autunno. Io non piansi ma certamente non ero
allegra! Viaggiai fino a Genova in uno stato strano, sospeso fra
sogno e realtà e per qualche giorno non mi rendevo conto della
portata di ciò che mi era successo fino a che capitò qualcosa che
era destinata a cambiare la mia vita e che, come spesso accade,
nacque da una apparente casualità: in televisione trasmettevano
spezzoni del 1985 di Drive In, te lo ricordi? con Carmen Russo,
Lory del Santo, Ezio Greggio ecc... e, come un lampo, mi venne
in mente questo pensiero che cambiò la mia vita radicalmente.

Io nel 1985 avevo la stessa età delle cocci allora,
cinque anni tra me e loro, io cominciavo la mia "avventura" con
la g. i seni, i travestimenti... loro cominciavano la vita, vita
vera, vita al femminile. Io a 12 anni cominciavo a resistere, a
puntare i piedi per poter essere in quel binario dove loro
c'erano di diritto. Il mio scambio mi aveva portato in cinque
anni da un'altra parte e per cinque anni avevo tentato la
retromarcia fino al punto del bivio.

Loro erano nel binario giusto, il binario che le avrebbe
portate ad essere donne, io no, io per cinque anni avevo tentato
di fare il salto di binario ma era impossibile, l'unico scambio
possibile era a 12 anni, dato da Madre Natura, passato quello,
nisba: per dieci giorni avevo avuto a che fare con fanciulle in
fiore contente del loro stato e che, in un modo innocente, ma
fermo, mi avevano "tenutO", maschio, al mio posto, fatto capire
che c'era un modo possibile per essere uomo, un famoso grembiule
nero. Ma nero!

Era come se mi avessero dato uno schiaffo e una carezza
insieme, lo schiaffo per dirmi: "ehi, sveglia! stai dormendo da
cinque anni! Sei sul binario maschio, non su quello femmina, su
quello femmina ci siamo noi, non ci vedi?", la carezza per dirmi:
"rimani come sei, non voler diventare una di noi, non ce la
farai, ma sii come sei, a noi va bene così".

Tornata a Genova capii che non avrei mai potuto più
mettermi un reggiseno o vestire da ragazza: sarebbe stato come
voler imitare quelle ragazzine, mettermi nella loro pelle, un
voler ancora illudermi di qualcosa che non sarebbe mai successo.
Lo scambio dei binari mi aveva portato lì, a 17 anni, con ancora
la mente ferma a 12, al momento dello scambio, con una nostalgia
di un qualcosa che non sarebbe mai stato, e i binari sarebbero
sempre più stati distanti, uno verso marte, uno verso venere e
non c'era speranza di contatto. Di uno scambio successivo. Il mio
corpo, sebbene androgino, si sarebbe sempre più mascolinizzato,
non c'era scampo.

E qui sta il problema con i capi scout, probabilmente. Io
avevo passato dieci giorni guardando quelle ragazzine con un
misto di desiderio e invidia: a volte si parla della
intersezione, comorbità, fra transessualismo e pedofilia e penso
che sia questa l'origine. I capi non sapevano ciò che c'era
dietro, vedevano questo strano interesse e forse si erano
spaventati, perché il modo con il quale loro si erano attaccate a
me, ma soprattutto il modo in cui io ero attaccata a loro era
"strano", non era la semplice attrazione di un ragazzo etero, era
la voglia di essere "una di loro", di esser loro amica, di
condividere l'inizio, entusiasmante e potente, del _loro_
binario, viverlo in procura, quasi, nella loro pelle come quel
Buffalo Bill; io, in fantasia, ero come lui, volevo provare anche
"come ci si sentiva" al loro posto. Ora, nel mio caso non c'era
altro di "morboso" o perverso, stavo al mio posto, la mia era
stata una identificazione fantastica, ma era chiaro che la trans
sia sempre affascinata dal momento del cambio, dei binari che
divergono, da quell'età magica nella quale i grembiuli bianchi
effettivamente diventano bianchi e i neri... ahimé, vanno verso
il nero. La trans vedrà per sempre con nostalgia il momento dello
scambio dei binari come un'occasione persa, il punto del distacco
da ciò che pensava le appartenesse di diritto. Per quello a volte
si parla di una seconda adolescenza quando una trans comincia la
terapia ormonale: è come se quelle pillole la riportassero
magicamente indietro allo scambio dei binari e, parzialmente,
rimediassero all'errore.

Però all'epoca le cocci avevano fatto capire, per dieci
giorni, a Lino che quel distacco era irreversibile, che ogni
tentativo era vano, il binario di Lino era nero, nero per sempre.
Era dunque una guarigione? Effettivamente tornata da Arzeno non
potei più vestirmi da ragazza né masturbarmi per più di un anno,
tanto fu il colpo, pensare al sesso diventò tabù, prendere un
reggiseno in mano divenne impossibile, meno che mai mettersi una
gonna o un vestito; nell'autunno le rividi e con Silvia e
Francesca divenni amica anche se l'atmosfera di Arzeno non fu mai
più ripetuta; il binario delle ragazze è "ad alta velocità", una
volta che la ragazza comincia a svilupparsi in pochi mesi
praticamente diventa donna, quelle cocci divennero ragazze in
pochissimo tempo e si comportavano poi come le altre ragazze con
me: amiche, ma nulla più. Arzeno era stato possibile perché le
avevo prese, per caso o per Grazia, nel momento magico in cui
stavano maturando, in cui non erano più bambine e non ancora
ragazze, quel momento magico che io mi ero persa e che non avrei
mai avuto. E loro si erano affezionate a me perché io, a 17 anni,
avevo ancora l'età mentale di 12, ferma a quel momento in cui
speravo, forse, di poter cambiare.

Solo dopo un anno e mezzo potei riprendere lentamente, le
masturbazioni, ma i travestimenti completi (da donna) cessarono
del tutto fino al 2013, anno della mia dissoluzione come Lino;
indossai forse qualche volta un reggiseno, ma praticamente solo
come feticcio, o un "calmante", ma il colpo fu letale per me,
Marina, almeno per una ventina d'anni. Non potei più uscire,
neppure fra le mura domestiche, perché sarebbe stato un
regredire, prima di cinque anni, poi di sei, sette, dieci,
quindici. Mettermi al femminile a 25 anni avrebbe significato
all'epoca voler mettere indietro ancora l'orologio biologico di
13 anni, sognare ancora al momento del bivio.

Diventò tabù tutto ciò che mi poteva avvicinare al
femminile, perché era legato a quell'esperienza, a quell'amore
innocente di fanciulla. Mi rendevo conto della drammatica,
irreparabile differenza, del, come si dice adesso per negare
l'esperienza trans, "biological sex matters". Conta il sesso
biologico, tutto il resto è fantasia, se non perversione, binario
venere o binario marte, niente in mezzo. Destinazione fino alla
morte.

Le cocci avevano azzerato del tutto, così sembrava, il
mio dubbio, ritornare a travestirmi sarebbe stato come voler
tornare in modo malsano, a forza, all'età cocci, 12 anni,
ripetere ossessivamente quel momento del distacco sperando,
illudendomi, di un esito diverso da quello solito. Avrei dovuto
essere contento allora, come Lino, intendo: sembrava troppo bello
per essere vero: un campeggio con le coccinelle aveva magicamente
curato la disforia: cinque anni di dubbi cancellati con sei
ragazzine. Tutte le mie sofferenze, i ripensamenti di fronte ai
miei seni, ai miei fianchi, i dubbi sul mio sesso, sul cosa
essere, sul come essere, tutto magicamente finito? Sarebbe stato
meraviglioso, non trovi? Gli agnelli nella mia mente acquietati
per sempre.

Quasi quasi si può proporre come "cura" per le trans:
quando vogliono transitare le si fa passare dieci giorni in
compagnia di ragazzine acerbe entusiaste e coccolose e tutto
magicamente passa: a parte problemi di ordine etico e legale, si
potrebbe fare... o no?

Marina, quindi, gli agnelli hanno finito di urlare?

I dubbi i pensieri che urlavano nella testa per cinque
anni si erano magicamente acquietati! O così pareva, le cocci
erano sul binario giusto, ero io quello sbagliato, quello che
aveva voluto deragliare il mio treno fantasticando chissà quali
cose sopra alcuni centimetri di seno, perdendo cinque anni di
adolescenza.

...gli agnelli hanno finito di urlare?

E quindi le cocci mi avevano dato questo schiaffo
profondo, un bagno di realtà durato 10 giorni in cui io avevo
avuto accanto sei "lolite" tutte per me, suonando la chitarra
dopo pranzo, attorno al fuoco, dandomi la mano, abbracci e baci
innocenti al mattino: "Lino, ci canti la guerra di Piero?",
"Lino, ci leggi qualcosa?", "Lino mi racconti una storia?"

...hanno finito di urlare?

Portando loro il budino a merenda, aiutandole a lavare le
pentole troppo grandi quando era il loro turno, vedendo proprio
lo sboccio della fanciulla, quello che io non avevo avuto e che
non avrei avuto mai, quei sorrisi scampanellanti, voci di donna e
bambina insieme. La potenza della matrice che si stava svegliando
nei loro ventri, la fertilità. Il ciclo, ciò che avevo desiderato
e che non sarebbe mai stato mio.

I primi pianti d'amore, quel lupetto mi ha guardata male,
sono brutta! I dubbi! Sono bassa? Magra? Grassa? Ho poco/tanto
seno? Diventavo... ero... non so, chi CHI vedevano non so, fatto
sta che ero il loro confidente. Per loro, ovviamente, Lino, ma
forse vedevano anche una specie di lato femminile, materno, da
sorella maggiore? Chissà. Non mi lasciavano un secondo! Si
confidavano di tutto con me!

...finito di urlare?

facendomi però capire che, anche in modo strano, con
questa mia aria un po' timida e sognante, con anche il mio
aspetto da "maschio strano", Lino poteva dare e ricevere amore,
non era poi così sbagliato stare su quel binario; allora aveva
ragione la maestra: erano loro i gigli bianchi da coltivare,
lentamente, negli anni, e sceglierne uno poi per sempre? la
famosa famiglia, il mio antico sogno.

Era questo il trucco? Aspettare la generazione
successiva? Non avevo combinato nulla con le coetaneee, erano da
lasciar perdere e dovevo rivolgermi alle piccole? Alla nuova
generazione?

... di urlare?

dunque mi avevano guarito? Avevano fatto capire
definitivamente a Lino che era quello il suo posto? Che non c'era
NULLA di sbagliato in lui, non aveva senso girare attorno alla
fantasia di cambio, Lino poteva stare lì, andava bene, mi
accoglievano con quella vera, incomparabile innocenza di un fiore
appena sbocciato. Quella verginità assoluta di ragazza mista alla
purezza di bimba, come se mi avessero detto: "fai il tuo ruolo,
noi facciamo il nostro. Ci rivedremo quando saremo più grandi. E'
questa la danza della vita: aspettaci. Non cambiare.".

No. Urleranno ancora.

Urleranno... urleranno... perché gli agnelli erano più in
basso, in una stanza più segreta, non erano lì dalle cocci, erano
più antichi, guardati da demoni spietati, inappellabili,
invincibili. Era il Lino bimbo, ferito, non quello dodicenne...
quello, se vogliamo, era quasi simpatico nelle sue esplorazioni e
travestimenti... Le cocci avevano "guarito" il Lino dodicenne ma
c'era qualcos'altro che loro, ed io, non vedevo ancora e che
emerse con drammatica prepotenza una ventina d'anni dopo.

Quello che non era andato "a posto" era il nocciolo della
psiche, ancora prima del maschio-femmina. Era guasto in modo
irreparabile. Non _potevo_ diventare uomo per quanto mi
sforzassi, tutto qui; con la temperatura dei traumi infantili si
era disciolto e si era poi cristallizzato in una forma, per
quanto ferita e contorta, chiaramente femminile. Ero io, Marina,
solo che ancora non mi vedevo, non potevo vedermi, perché quella
ferita era nascosta, ma presente.

(e non saprò mai se ero Marina prima dei traumi vissuti
con mio padre prima dei tre anni e quindi vissi quelle cose che
ho vissuto come traumi perché ero già femminile, sensibile, nel
cervello o il cervello, che magari era "normale", maschile,
prima, per sfuggire al trauma, si deformò in una psiche
femminile... forse un misto delle due cose)

Ma per capire questo dovettero passare vent'anni e
dovetti sentire agnelli veri, innocenti, urlare.

E non poter fare niente per difenderli!

(sweet child in time
you'll see the line
line that's drawn between
good and bad

see the blind man
shooting at the world
bullets flying
taking toll)

urleranno... urleranno forte, senza difesa, come io avevo
urlato un tempo.

(wait for the ricochet....

tun tun tun...)

e i demoni che stanno a guardia di quel nocciolo o ti
uccidono o ti trasformano e non puoi far altro che vedere il tuo
io che si scioglie, poco a poco... perché senti le urla, nel tuo
cuore, nelle orecchie e non puoi farci nulla, perché la tua
ferita è lì, scoperta, orrenda. Non sanata.

(uuu uuuuuu u)

e gli altri la vedono, ma per gli altri è un vantaggio,
significa colpirti senza paura del rimbalzo. Della rappresaglia,
di una difesa.

con me i demoni sono stati clementi, mi hanno "solo"
trasformata... mentre altri mi toglievano ciò che di più caro
avevo fatto.

Facendomeli sentire urlare...

(uuu uuuuuu u)

gli agnelli...

(uuu uuuuuu u)

... i miei figli.

(fine terza parte)

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Re: il mio coming out (terza parte)

Messaggio da LorenaTizianaV »

Ciao Marina.
Questa mattina non avevo tempo. Ora ho letto il tuo racconto quasi tutto di un fiato.
Mi si è chiuso lo stomaco leggendo l'ultima frase...



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Re: il mio coming out (terza parte)

Messaggio da sylvix »

il tormento nasce sempre dal nucleo più intimo della negazione.
jeg taler ikke dansk!

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Re: il mio coming out (terza parte)

Messaggio da marinamtf »

LorenaTizianaV ha scritto: lunedì 2 maggio 2022, 19:21 Ciao Marina.
Questa mattina non avevo tempo. Ora ho letto il tuo racconto quasi tutto di un fiato.
Mi si è chiuso lo stomaco leggendo l'ultima frase...



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diciamo che si capisce il motivo ultimo. Il nocciolo del dolore... ma è andata così.
sono cose di nove anni fa, ora gli agnelli sono cresciuti e, in qualche modo, li ho salvati,
anche se non ho salvato Lino (ma forse non era da salvare...)

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Re: il mio coming out (terza parte)

Messaggio da marinamtf »

sylvix ha scritto: lunedì 2 maggio 2022, 21:11 il tormento nasce sempre dal nucleo più intimo della negazione.
esatto, conosci te stesso... vale in ogni caso. Tanto più in queste cose,
la rimozione della propria natura verrà pagata, a caro prezzo, dopo.

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Re: il mio coming out (terza parte)

Messaggio da Marinatravoi »

Carissima, i veri demoni non sono stati quelli che ti hanno " trasformata", come dici tu, quelli in fondo sono stati clementi...non cosi chi ti toglieva quanto di più caro avevi...
Marina

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Re: il mio coming out (terza parte)

Messaggio da marinamtf »

certo

ma se non stai attenta e non riconosci il messaggio che ti mandano per aiutarti può essere autodistruttivo.

Alla fin fine ti trovi in una condizione in cui o accetti l'ombra o l'ombra semplicemente rimpiazza l'io,
ma in modo incontrollato.

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Re: il mio coming out (terza parte)

Messaggio da maxima »

Carissima Marina, ho voluto leggere insieme le prime tre parti della tua storia... ed è per questo che non mi sono fatta viva prima.
Il tuo modo di scrivere è avvincente, ma la cosa più forte è il fatto che riesci a farci rivivere i sentimenti, le paure e le emozioni che hai vissuto in tutti questi anni e che ancora stai vivendo. Abbiamo pressappoco la stessa età; forse quando tu eri una “cambu”, se solo avessi fatto lo scout, sarei stata un tuo capo di tre anni più grande. La città, Genova, era quella... la sottoscritta, però, bazzicava all’ACR. I dogmi, l’educazione, il fatto che l’unione fra un uomo e una donna avesse il solo fine della procreazione, hanno condizionato non poco anche la mia esistenza e, in particolare quegli anni giovanili. Mi sono ritrovata in molte cose che hai scritto, anche se nel mio caso tutto si è sempre limitato a un “sogno” in quanto mi sono sempre sentitO a mio agio come ragazzO. Però, anch’io, come te, avrei in cuor mio voluto essere come loro, come le ragazze che frequentavo... e anch’io quando le frequentavo accantonavo ogni mio sogno è non avevo dubbi su quale binario dovessi rimanere.
Mi rendo conto che per te ogni cosa è stata estremamente pesante proprio per il fatto che non sei riuscita a liberarti delle convenzioni “giuste”, quelle che non ti farebbero mai fare una scelta del genere...
Nonostante il tuo racconto non sia ancora terminato (e sono ansiosa di leggere la quarta parte!) sono certa che finalmente sei riuscita a liberarti di tutto questo e sono ancor più certa che le urla degli agnelli presto muteranno in urla di gioia. Almeno questo è il mio augurio con tutto il cuore.
A presto,
Maxima

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Re: il mio coming out (terza parte)

Messaggio da marinamtf »

maxima ha scritto: venerdì 6 maggio 2022, 14:32
Mi rendo conto che per te ogni cosa è stata estremamente pesante proprio per il fatto che non sei riuscita a liberarti delle convenzioni “giuste”, quelle che non ti farebbero mai fare una scelta del genere...
cara Maxima, grazie del commento.

diciamo che un po' il mio carattere molto abitudinario, anche la mia famiglia (sono comunque meridionale e mia nonna di un paese della provincia di Salerno mi plasmò decisamente verso una eteronormatività pur, se così posso dire, aiutando la mia disforia a crescere perché mi aveva inculcato un tipo di ragazza che non era reale se non cinquant'anni prima -- e solo in certi ambiti --) ha contribuito a mettermi nel binario giusto (dal punto di vista biologico) e poi alla fin fine, sui vent'anni, ero convintO di essere uomo e guardavo con supponenza quella che ero stata durante i primi anni di adolescenza.

Come per dire: che scemo che ero... ora sì che ho la testa a posto

Ma, come detto prima, non feci i conti con l'oste che me li presentò, cari, una ventina d'anni dopo.

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Re: il mio coming out (terza parte)

Messaggio da Io, (e) Giulia »

marinamtf ha scritto: lunedì 2 maggio 2022, 8:19 (e non saprò mai se ero Marina prima dei traumi vissuti
con mio padre prima dei tre anni e quindi vissi quelle cose che
ho vissuto come traumi perché ero già femminile, sensibile, nel
cervello o il cervello, che magari era "normale", maschile,
prima, per sfuggire al trauma, si deformò in una psiche
femminile... forse un misto delle due cose)

E non poter fare niente per difenderli!

urleranno... urleranno forte, senza difesa, come io avevo
urlato un tempo.


Facendomeli sentire urlare...

(uuu uuuuuu u)

gli agnelli...

(uuu uuuuuu u)

... i miei figli.
Enormi traumi ed immenso dolore............

Ma sto provando la brutta sensazione di non aver capito bene,

o forse mi fa comodo non capire bene....,

forse sono, semplicemente, una tonta.

Giulia......che avrebbe bisogno di ulteriori chiarimenti ...... ma che comprenderebbe se Tu, non avessi la voglia/forza, di darglieli.

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